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giovedì 30 ottobre 2014

98. "I genitori non ci dovrebbero mai insegnare a vivere, perchè essi ci insegnano sempre la loro vita" (Rilke)

Una frase solo provocatoria o con un fondo di verità?

Non si sceglie di educare.
Quando si è genitori si ha il senso innato e spontaneo di impartire ai figli la migliore educazione, di trasmettere solamente il meglio.
Essendo l'insegnare a vivere una capacità non manualistica, è automatico e meccanico che per adempiere a questo compito i genitori attingano alle loro esperienze passate, reinterpretandole ed estrapolandone i caratteri positivi e formativi.
E' impossibile, quindi, avere sedimentato un concetto di educazione totalmente libero da influenze esterne. E' scontato che, senza necessariamente avere coscienza, i genitori tenteranno di plasmare nel figlio un vivere già vissuto, ma è sempre e solo un modo per rendere il percorso dell'esistenza meno travagliato e sofferto. E' più facile, infatti, percorrere una via già battuta.
E' una "scelta" necessaria d'amore nei confronti di un cucciolo d'uomo non ancora in grado di erigersi in modo autonomo sulle proprie gambe.
Chi, al contrario, secondo Rilke, dovrebbe insegnare a vivere?
Esistono altri esempi capaci di formare in maniera più soddisfacente? Ovviamente no, ed è bene che sia così. I genitori sono le prime personalità che conosciamo, ancor prima di noi stessi; è spontaneo che proprio da loro cominci quest'azione istintiva e primordiale.
Un padre od una madre, tuttavia, giunge sempre al momento della consapevolezza di non avere più nulla di basico da trasmettere, allorché cessa di trainare un carro ormai autosufficiente.
Diventano spettatori: hanno istruito al meglio delle loro possibilità e avranno rimorsi e rimpianti, è certo, ma nonostante l'aver insegnato la LORO vita avranno sempre la convinzione di aver allevato un essere migliore di loro, e ne saranno fieri.